MOTHER (2025)
Mother è uno uno spettacolo di danza contemporanea che esplora l'intersezione tra coreografia, tecnologia digitale e intelligenza artificiale.
La ricerca si concentra sulla figura della "madre" come metafora del corpo generativo per eccellenza, in contrapposizione alla cosiddetta Intelligenza Artificiale "generativa" o "generale".
Cosa significa "generare" nel linguaggio dell'IA e quali interrogativi solleva il mito della cosiddetta macchina generativa generale?
Nel processo che abbiamo attraversato per Mother, ci siamo proposti di sfidare il rapporto convenzionale tra danza e agenti digitali che agiscono come sistemi "intelligenti".
In una visione della danza postumana dove l’agency del movimento è assemblata, costruita, distribuita tra esseri umani e esseri alieni, macchinici, non ancora conosciuti, e forse non conoscibili affatto, Mother vuole indagare i limiti e le estetiche dell’Intelligenza Artificiale.
Abbiamo attraversato una fase di ricerca e di apprendimento sui processi di training che permettono ai sistemi di machine learning di interpretare gli input umani - i prompt - e, gradualmente, di stabilire un mezzo di comunicazione che permette all’Intelligenza Artificiale di influenzare e trasformare la nostra creazione artistica, in un’ottica sempre in divenire.
La figura dei corpi materni ci è servita anche per affrontare la questione dei cosiddetti bias presenti negli algoritmi di IA: come viene affrontato e rappresentato il corpo/i corpi femminile/i dai sistemi di IA? Di quali dati si nutrono le IA in relazione ai corpi non normati? Che tipo di corpi restituisce un'IA?
Vediamo l’IA come istanza ultima generatrice di mostri.
Mostro: che si mostra, che fa vedere qualcosa di osceno, non convenzionale, non accettato. Dal latino: monstrum, segno divino, prodigio, ma anche monēre, avvisare, ammonire. In Mother prendiamo di petto la mostruosità del momento storico che stiamo vivendo, il deep fake, l’allucinare, la creazione di una realtà parallela che si nutre nei nostri bias e che ci restituisce un’immagine di noi incredibilmente cruda. In Mother ci interroghiamo su questo prodigio, portiamo al paradosso l’attività creatrice della macchina, creiamo un paesaggio e una creatura mostruosa che prende vita propria, partendo da quanto abbiamo di più intimo, il nostro corpo.