IL CUORE, LA MILZA, IL LAGO
Il punto di partenza è il testo “Il cuore, la milza, il lago” di Iris Basilicata: un testo in linea con la poetica e il percorso della Compagnia Chronos 3 nella drammaturgia contemporanea italiana.
“Il cuore, la milza, il lago” nasce da una esperienza che l’autrice ha vissuto in prima persona e che negli anni è riuscita ad elaborare sotto forma di vari racconti brevi e poesie per poi arrivare a comporne la struttura drammaturgica. Nel novembre del 2020 Iris Basilicata ha portato a compimento il testo durante la frequentazione di uno dei laboratori appartenenti al ciclo “Officine di drammaturgia” condotto da Lucia Calamaro.
“Una cosa che nessuno dice probabilmente per vergogna è che dopo la morte di un figlio la madre è incazzata con lui. Arrivi addirittura a detestarlo, è un sentimento immediato che ti si innesta dentro oltre al perenne senso di colpa. La prima cosa che ti esce fuori e che nessuno dice e che mai dirà apertamente è che odi tuo figlio perché ti ha rovinato la vita”.
Queste sono le parole che una persona molto vicina all’autrice le ha confidato dopo aver perso la sua bambina.
Il terreno del non detto è sempre un qualcosa di fertile e per questo Il cuore, la milza, il lago prova ad indagare questo ed altri sentimenti contrastanti che emergono dopo una perdita così grande.
Giovanni, figlio ventenne di Lucia è morto annegato mentre nuotava in un lago durante una vacanza con gli amici. Nella vicenda i due si ritrovano in un improbabile dialogo in cui comprendono che la vita offre sempre una seconda possibilità per potersi ancora vivere. O forse no.
Dopo la perdita di un figlio cosa succede? È un figlio quello che da veramente nome alla nostra esistenza? Se lo chiede Lucia, madre in là con gli anni ma ancora luminosa, che riempie dolcemente il vuoto della sua casa con un acquario di pesci ma senza all’interno alcun animale, sperando forse un giorno di ritrovarci dentro il figlio nuotare felice come alcuni attimi prima di andarsene.
Giovanni e Lucia creano un loro mondo ideale in cui tentano con tutti loro stessi di instaurare un dialogo sano e puro: i due litigano, si amano, si odiano, si rivelano, finalmente senza filtri perché ormai liberi di poterlo fare.
Una madre e un figlio che si scoprono e si riscoprono confessandosi quello che nella vita non hanno avuto il coraggio di dirsi, continuando a portare avanti il loro rapporto, a parlare del futuro, a litigare per poi fare pace. Se però da una parte Lucia rivela al figlio che ogni tanto vorrebbe poter avere la libertà di sorridere ancora senza sentirsi successivamente in colpa, dall’altra Giovanni si lamenta del fatto che non potrà più realizzare i suoi sogni e addirittura non potrà più vedere svanite le sue paure.
Se è vero che i morti non ci lasciano mai allora possiamo sentirli all’interno del nostro corpo nel senso di più internamente possibile. In una intervista che il sito Vice ha effettuato ad una donna dopo aver perso per sempre la persona a lei più cara si legge “L'epidermide si rinnova completamente ogni 70 giorni. Quando l'ho letto, lui era morto da 21 giorni. Ho pensato: altri 49 giorni e la mia pelle non avrà mai toccato la sua”.
Ma dove finisce il ricordo? Dove si infiltra? Lucia tenta disperatamente di tenere a sé Giovanni appiccicandolo nelle sue membra, nel cuore, nella milza – appunto – nella bocca, tra le ciglia, per non farlo scappare. Per ogni figlio, però, arriva l’ora di diventare adulti e di lasciare la casa paterna in un modo o nell’altro.
E così, dopo una perdita tanto tremenda, tutto continua ancora ad essere irrimediabilmente al proprio posto.