Laboratorio delle idee per la produzione e la programmazione dello spettacolo lombardo

TURANDOT MULTISCAPE

TURANDOT MULTISCAPE - Immagine: 1
compagnia: Ariella Vidach - AiEP
di: Ariella Vidach AiEP
drammaturgia: Ariella Vidach e Claudio Prati
cast: Federica D’Aversa, Carmine Dipace, Manolo Perazzi, Stafano Roveda, Yeva Sai, Francesca Linnea Ugolini
regia: Ariella Vidach, Claudio Prati
coreografia: Ariella Vidach
in coproduzione: Avventure in Elicottero Prodotti, DiDstudio
durata: 30 minuti
TURANDOT MULTISCAPE
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Scheda tecnica

Idea Ariella Vidach AiEP
Coreografia Ariella Vidach Regia Claudio Prati
Interpreti Federica D’Aversa, Carmine Dipace, Manolo Perazzi, Stafano Roveda, Yeva Sai, Francesca Linnea Ugolini
Musica Paolo Solcia
Sistema interattivo Francesco Luzzana

In coproduzione con Avventure in Elicottero Prodotti

Realizzata con il sostegno di MIC – Ministero della Cultura, NEXT - Regione Lombardia, Comune di Milano

 

 

Seconda tappa dopo Koppelia, della trilogia sulla rilettura dei classici in chiave tecnologica, il progetto coreografico proposto dalla compagnia Ariella Vidach AiEP per il 2025/26 reinterpreta l’opera Turandot attraverso una lente contemporanea, ridefinendo l’enigma, cuore della storia, in un’esperienza immersiva e interattiva.

Nasce così Turandot Multiscape che trasforma l’opera in un ambiente interattivo dove l’enigma, anziché essere risolto, viene abitato. Turandot diventa una macchina senziente, una coscienza liminale, pone domande non per ottenere risposte, ma per esplorare il modo in cui rispondiamo. Il cuore del progetto non è più la conquista, ma la messa in crisi. L’enigma si sposta dal piano narrativo a quello esistenziale.

La performance si struttura come un sistema interattivo, dove i danzatori non eseguono una coreografia fissa, ma reagiscono in tempo reale alle sollecitazioni del pubblico che tramite cellulare invia messaggi. Le domande, a cui vengono suggerite cinque risposte, diventano inneschi di trasformazione: ogni interazione modifica il percorso, il ritmo, la logica del movimento. In questo senso, sono gli spettatori a generare – forse senza rendersene conto – nuovi enigmi, nuovi snodi emotivi e concettuali.

I danzatori, a loro volta, rispondono non con parole, ma con azioni fisiche, posture, variazioni di energia. La loro risposta non è “giusta” o “sbagliata”, ma è una traccia visibile dell’ambiguità che l’enigma propone. Il corpo si fa interprete di un pensiero non lineare, che sfugge alla logica binaria della risposta corretta.

L’enigma diventa il filtro attraverso cui osservare la nostra umanità non solo perché ci costringe a riflettere su ciò che vogliamo e temiamo, ma perché evidenzia il nostro bisogno di senso di fronte a ciò che non si spiega. In un mondo governato da algoritmi e intelligenze artificiali, dove ogni decisione sembra tracciabile, Turandot Multiscape ci ricorda che l’umano si manifesta proprio nell’inciampo, nel paradosso, nella contraddizione.

Così, ogni reazione dei danzatori diventa un tentativo di abitare l’enigma, di viverlo nel corpo prima ancora che nella mente. A volte rispondono con armonia, altre con attrito, altre ancora con silenzio o blocco. Queste reazioni sono specchi deformanti delle nostre risposte quotidiane alle domande esistenziali: cosa desideriamo veramente? Perché cerchiamo risposte definitive? Chi siamo quando non sappiamo cosa fare?

In questo contesto, l’enigma non ha soluzione perché non è un problema da risolvere, ma un luogo da attraversare. La danza diventa allora uno spazio aperto, in cui il pubblico è chiamato non a interpretare, ma a partecipare, accettando di non sapere dove sta andando. Turandot Multiscape diventa così un rito laico del dubbio, una celebrazione della complessità, un invito a trovare senso nel non-senso.